Pubblicato sulla rivista nazionale di ProgettoAiki n5, febbraio 2024.
Questo articolo nasce grazie a un dialogo con un attivista LGBTQIA+.
Abbiamo cercato di dare uno sguardo di insieme al panorama sportivo e di mettere in risalto alcuni degli aspetti innovativi che una disciplina non competitiva come l’aikido possiede, raccontando quelle sfumature che talvolta rischiano di rimanere in secondo piano, ma che riteniamo possano essere apprezzate da un mondo sempre più attento alla cura e al benessere psicologico, un mondo dove la narrazione della competizione come fine ultimo della pratica e la vincita come unica definizione possibile del successo sembra stiano cominciando a perdere la loro presa.
Proviamo dunque a partire da qui: l’Aikido è ascolto.Non essendoci la necessità di sopraffare il compagno è fondamentale ai fini della pratica settare il proprio livello sulla base delle rispettive capacità, ciò richiede una notevole sensibilità nei praticanti, che andrà a svilupparsi sul tatami grazie ai continui cambi di partner.
Partner che sulla base del loro fisico, genere e grado saranno diversi e unici, costringendoci dunque a percepire nel minore tempo possibile le reciproche capacità e i rispettivi limiti.
Una metodologia di allenamento così impostata, con queste precise finalità di ascolto, pone la differenza di genere non più come un ostacolo o un qualcosa che debba essere tollerato ma come un valore aggiunto ai fini del miglioramento delle proprie abilità. Un valore aggiunto che si basa sulle rispettive differenze, più la pratica del compagno sarà diversa dal precedente maggiore sarà l’impegno richiesto per coglierne le sfumature. Questa narrazione se ci pensiamo bene è incredibilmente moderna e poco raccontata, non sono molte le attività sportive che permettono un allenamento senza una distinzione basata sul genere. Considerando poi che in molte di quelle esistenti viene spesso gestito come un esperimento marginale, talvolta non apprezzato e che sembra richiedere un sacrificio da entrambe le parti.
L’unicum che abbiamo di fronte quando saliamo sul tatami è trovare uno spazio dove l’interazione tra due persone, che ripetiamo entrano materialmente e fisicamente in contatto tra loro non è vincolata dai tratti biologici, rendendo di fatto la differenza di genere un plus, un qualcosa che sia di beneficio ad ambedue i praticanti e che, qualora non ci fosse sarebbe al contrario una perdita. Una perdita di variabilità in grado di allenare la nostra percezione.
Sulla base di questo dialogo abbiamo notato un piacevole interesse nei confronti dell’Aikido da parte delle persone che fanno dei diritti egualitari la loro battaglia.
Vi faccio un esempio più pratico, il 20 novembre di ogni anno si celebra la giornata in memoria delle vittime di transfobia (Transgender Day of Remembrance). Le persone transgender spesso si autoescludono dallo sport, soprattutto nella fase di transizione. Riuscire a comunicare in maniera efficace l’esistenza di un luogo dove l’etichetta fisica non è un tema vincolante, dove non troviamo di fatto un aikido maschile o femminile è importante per indicare nuove opportunità che vadano oltre la classica logica sportiva.

Vorrei citare un altro punto che mi sta particolarmente a cuore. Nella pratica ciascuno di noi assume dei tratti caratteristici, siano essi movimenti o tempistiche, squilibri o proiezioni, fatto sta che la disciplina dell’aikido, per quanto sia fondata su insegnamenti codificati dal maestro o dai maestri di riferimento, assume una forma decisamente personale. È, cioè, espressione di chi la attua in quel preciso momento.
Proviamo a fare un esperimento: lasciamo correre l’immaginazione e peschiamo un ricordo di noi che pratichiamo con uno qualsiasi dei nostri amici o compagni di dojo, prendiamoci un momento per visualizzare mentalmente una tecnica o una presa. Ebbene con molta probabilità oltre all’immagine siamo stati in grado di percepire le sensazioni che quel determinato compagno ci trasmette sul tatami, come il contatto o un’immobilizzazione. Cambiando persona cambieranno anche i ricordi legati alle sensazioni. Ebbene è proprio nell’Aikido che ciascuno di noi, attraverso il movimento, lascia una traccia indelebile e facile da riconoscere anche a occhi chiusi.
Questa personalizzazione come espressione di sé rende a mio avviso la pratica estremamente affascinante. Coltivare la propria unicità aiuta nel percorso di benessere di cui tanto si parla dentro il nostro mondo associativo, rendendo il tatami una sorta di safe place (luogo sicuro) dove poter sperimentare e liberare la propria identità. Guadagnando uno spazio dove la cooperazione e l’aiuto sono alla base della pratica, cercando di scardinare la logica competitiva e asfissiante che molti sportivi amatoriali subiscono (per dare una misura del contesto in cui viviamo, in un’associazione sportiva agonistica del paese da dove vi scrivo alcuni praticanti adolescenti sono stati allontanati dalla squadra perché ritenuti non performanti).
Detto questo mi preme però sottolineare che spesso anche noi siamo ancorati a modi di raccontare l’Aikido appartenenti al passato. Un passato saturo di conflitti e invincibilità, alimentando idee probabilmente non più necessarie, che ci cadono addosso come figlie di una pesante eredità, di un bisogno indotto e rimasto vivo per chissà quale ragione. Cercare la divulgazione attraverso l’efficacia e la comparazione con le altre arti marziali alimenta una narrazione anacronistica che rischia di farci perdere di vista le colorate sfumature che possediamo all’interno della nostra pratica sportiva.

Infatti, ricollegandoci al discorso iniziale, le iniziative lgbtqia+ pongono sempre grande attenzione alla libera espressione dell’essere umano, proprio perché per esperienza diretta ne subiscono i limiti. Raccontare di come coltiviamo la cura verso noi stessi e gli altri ha trovato terreno fertile per un profondo dialogo.
Come, ad esempio, l’identificazione dei safe place, con la sensibilità però di ricordarci che la ricerca di un posto sicuro viene talvolta identificata dalle persone che non ne conoscono la corretta interpretazione come una nicchia o un rifugio in cui nascondersi. Fortunatamente questa è ormai una lettura errata e superata. La libera espressione dell’essere umano è una richiesta perfettamente lecita e basata su bisogni sani. Per questo il dojo, interpretato come safe place, ha di fatto un enorme valore sociale e comunicativo, riuscendo a dare un valore aggiuntivo alla comunità che stiamo frequentando.
Raccontare come l’Aikido si modelli con una forma estremamente personalizzabile, dove lo stile unico e espressivo di ciascuno di noi fiorisce attraverso l’espressione del proprio movimento contribuisce ad una narrazione molto più intima e profonda di quanto siamo normalmente abituati a sentire.
Concludo ovviamente dicendo che questi sono solamente alcuni aspetti che ci aiutano a descrivere le sfumature dell’Aikido, condividere con voi questi confronti che, per quanto mi riguarda sono stati estremamente formativi, spero abbia lo scopo di stimolare ulteriori idee e progetti tematici. Sicuramente di interlocutori pronti ad ascoltare ce ne sono molti.
Per confronti o approfondimenti lascio in allegato il link con i report dell’indagine europea
Outsport: the relevance of sexual orientation and gender identity in sport in Europe.
https://www.out-sport.eu/?lang=it
Un caro saluto a tutti.
See you on the mat.
Rocco Nardi
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